Vanja Venuti: il viaggio, il mare e il mio impegno per l’ambiente

Arriva da sud-est all’inizio di ogni primavera e ritorna, puntuale, sul finire di ogni estate.
E’ il vento di Scirocco; l’indiscusso signore delle maree che trasforma la sabbia in tempesta e asperge l’aria, calda e umida, di elettricità.
Chiunque sia nato a sud, cullato dal dolce canto delle sirene, è inconsapevolmente governato da quest’anima irrequieta e salmastra che scuote, ammanta e attraversa ogni cosa.
Un richiamo insistente e pertinace che risveglia il primigenio bisogno di andare, oltre il presente, alla ricerca di nuove terre, nuove genti e nuovi orizzonti.
Nata in Sicilia, patria dello Scirocco, con la salsedine tra i capelli e le profondità del mare intrappolate tra le ciglia, Vanja Venuti, esploratrice e ambientalista, conosce questo richiamo molto bene.

Lontana da abitudini, stereotipi e convenzioni, Vanja ha scelto di vivere per conoscere e prendersi cura di questo mondo: “E’ un’esigenza naturale. La vita non è che un cammino luogo il quale lasciare una traccia, un segno, un’impronta (grande o piccola che sia), su una terra assetata d’amore: dipende solo da noi scegliere la giusta direzione. E’ un esercizio – spiega l’esploratrice – pensare e agire protesi verso una costante evoluzione. Viaggiare, conoscere e scoprire rappresentano i miei strumenti, perché sono una persona curiosa a cui non piace che vi siano filtri o mediazioni tra me e le cose che accadono. Viaggio per questo, perché se sono qui, ora e adesso, c’è un motivo che non voglio sprecare”.
Un’anima vagabonda che si manifesta da bambina ed esplode all’alba dell’adolescenza: “Più mi dicevano che non potevo fare qualcosa più la facevo – sorride Vanja – non ho mai accettato limiti o confini, specialmente se legati alla mia femminilità. Credo, anzi sono convinta, che le donne debbano fare tutto ciò che vogliono, liberandosi dalle costrizioni, imposte da un certo modello sociale, per scatenare il lupo che vive in ognuna di loro. Libertà ed emancipazione, anche sessuale – prosegue l’ambientalista – rappresentano lo strumento attraverso il quale combattere il machismo e la misoginia strisciante di una società falsamente benpensante che limita, manipola e reprime ciò che siamo e vogliamo essere”.

Libertà ed emancipazione che hanno caratterizzano la vita, le scelte e il percorso della giovane esploratrice: “Quando uscivo con mia madre, anche solo per andare a fare la spesa, preparavo il mio zainetto come se non dovessi più tornare. Molti mi chiedono se viaggiare da sola mi faccia paura – racconta questa avventurosa cittadina del mondo – in realtà io non viaggio mai da sola (ci sono i miei tre cagnolini con me), perché lungo il cammino incontro sempre un compagno o una compagna con i quali condividere un pezzo di strada. Sono incontri casuali e temporanei – spiega – in cui il passeggero non è mai lo stesso, ma questo, di fatto, fa si che non sia mai davvero sola. Per come la vedo io, viaggiare significa vivere in comunità. Nel corso dei miei viaggi incontro tantissima gente che mi accoglie, mi abbraccia, mi prepara un caffè, condivide il suo pranzo, mi offre la propria ospitalità. E non mi riferisco solo a popolazioni note per la loro socialità: anche i popoli più freddi e ostili mi hanno sempre accolta e aiutata”.
Volitiva e avventurosa, Vanja inizia a viaggiare nei primi anni di università: “Studiavo per vincere borse di studio che mi avrebbero permesso di vivere all’estero, ma non riuscivo a fermarmi a lungo in un luogo: avevo bisogno di regalarmi nuove albe e nuovi tramonti. Qualche volta ho immaginato di mettere radici – confida riflessiva – ma non potrei mai farlo in maniera definitiva. Nel 2009, però, lascio l’Europa, attraverso l’Atlantico e approdo in Brasile: dove ho vissuto dieci lunghi anni. A contatto con le popolazioni indigene dell’Amazzonia ho sentito il respiro della Terra e questo mi ha cambiata profondamente: il Brasile mi ha fatta crescere e mi ha insegnato ad affrontare anche le situazioni più disparate”.

Momenti difficili che oggi Vanja racconta con il fatalismo di chi ha superato una grande prova: “Ci sono due episodi che mi hanno fatto pensare che non ce l’avrei fatta. Nel primo caso mi trovavo a Rio de Janeiro da poco e lavoravo come bigliettaia in un locale. Finita la serata – racconta l’esploratrice – mi avvio alla fermata del bus per tornare a casa, ignara che gli autisti del notturno si fermano solo se c’è più di un passeggero in attesa: e quella volta, io, ero da sola. E così l’autobus scompare velocemente davanti ai miei occhi, mentre un ragazzo benvestito appare, alza la maglietta e mi punta contro una pistola intimandomi di consegnargli il cellulare. Nonostante consegni quanto richiesto, però, quel ragazzo continua a inveire e a minacciare. Sono stati minuti interminabili – ricorda Vanja – ma quando finalmente si è allontanato sono corsa a chiamare la polizia e un taxi, per farmi accompagnare alla caserma più vicina. Il tassista però ha deciso di regalarmi un tour della città non richiesto, per gonfiare il prezzo della corsa, portandomi alla stazione di polizia più lontana e creandomi non pochi problemi con le forze dell’ordine brasiliane”.
Il destino, però, non si arresta e ha in servo una nuova prova: “Mi trovavo sull’autostrada che porta a Città del Messico – racconta Vanja – quando un camion si affianca al van (mezzo con il quale viaggio) da destra e inizia a tallonarmi. Provo a effettuare un cambio di corsia, ma a sinistra sopraggiunge un secondo camion. Decelero e mi accorgo che un terzo camion mi segue, senza mantenere la distanza di sicurezza. All’improvviso, il camion a sinistra sterza tagliandomi la strada. Freno di colpo, ma il mezzo dietro al mio mi tampona spingendomi in avanti. Riesco a evitare l’impatto con l’auto davanti a me, fermandomi a meno di 5 metri, ma dentro al van si diffondono le fortissime vibrazioni che provengono dal camion che mi ha tamponata e contro il quale altre autovetture si schiantano: provocando un incidente a catena lungo 5 chilometri. Scendo dal van, metto in sicurezza i miei cani e, non appena la situazione si placa, aiuto le persone coinvolte nell’incidente. C’erano molti morti e feriti – ricorda l’esploratrice – ho pensato che avrei potuto esserci anch’io tra loro. Sono stata una miracolata, ‘milagra’, come ripetevano le persone che avevano assistito alla scena”.

Il vento del Sud, però, torna soffiare di nuovo e ricorda a Vanja che è tempo di andare: “Inizia così il mio viaggio lungo il continente americano. Tre mesi vissuti intensamente, ricchi di suoni, colori, accenti e sfumature: dall’estremo sud della Patagonia sino alle terre del nord, in Alaska. Ho visitato ogni Stato del centro America, ad eccezione di Panama e Costa Rica, colpite da tensioni sociali importanti, sino a raggiungere Stati Uniti, Canada e Alaska”.
Avventura americana che getta le basi per un nuovo progetto: un brevetto da guida turistica e un biglietto di solo andata per l‘Africa.
“Diventare guida turistica è un tassello fondamentale per aprire le porte al mio progetto africano – spiega Vanja – per questa ragione all’inizio del 2020 sono ritornata in Italia. Beh, certo, il mio rientro è stato accompagnato da variabili imprevedibili: dallo scoppio della pandemia alla scoperta che in Italia il brevetto da guida turistica era stato congelato”.
Imprevisti che non hanno scoraggiato la tenace esploratrice: “Fermarmi non era certo nei miei piani, ma ho fatto di necessità virtù e mi sono messa in opera – sorride Vanja – per prima cosa ho scoperto che in Romania potevo iscrivermi a un corso per diventare guida turistica e così ho passato il lockdown a studiare e a imparare il rumeno in vista dei primi esami a settembre (che ho superato). Finito il lockdown, con la possibilità di spostarsi tra le regioni, ho messo in moto il van per trascorrere l’estate a Ustica – racconta l’ambientalista, che in tasca ha anche un brevetto da sub – a ripulire fondali e spiagge dalla plastica e dai rifiuti che stanno soffocando il nostro mare”.

Volontaria di Sea Shepherd Italia, associazione nata con l’intento di proteggere le specie marine da pesca illegale e baleniere, Vanja ha partecipato a importanti operazioni a salvaguardia degli ecosistemi marini: “Ho conosciuto Sea Shepherd in Brasile e me ne sono innamorata – racconta – mi affascinava l’idea di diventare un pirata buono (il jolly roger con un bastone da pastore e il tridente di Nettuno sono simbolo dell’associazione nata nel 1977 dall’impegno del capitano Paul Watson) per dedicarmi ad azioni di pulizia spiagge e tutela delle specie marine contro il bracconieri del mare. In questi anni – prosegue l’esploratrice – ho preso parte al progetto Siso (nome di un giovane capidoglio morto nell’estate del 2017 perché la pinna caudale è rimasta impigliata in un reticolo di reti illegali al largo delle isole Eolie) e all’operazione Siracusa (che si occupa del pattugliamento notturno e diurno della riserva marina del Plemmino)”.
Un legame forte e profondo con il mare al cui richiamo Vanja risponde sempre: “Il mare ha bisogno di essere costantemente protetto dalla superficialità e dall’irresponsabilità di molti umani – spiega – per questa ragione mi sono data un nuovo obiettivo: la pulizia delle spiagge del litorale tirrenico della provincia di Messina. Un lavoro impegnativo vista la mole di plastiche, microplastiche e nanoplastiche che ho raccolto – si schernisce la volontaria – ho trovato cannucce, piatti, bicchieri, posate, lattine, bottiglie, bidoni, copriruota, copertoni, fili e reti da pesca, scarpe, infradito (tante), siringhe, contenitori in polistirolo, cicche di sigarette, mascherine, guanti monouso e persino della biancheria intima. E’ evidente che non potevo farcela da sola e così ho lanciato un appello su instragam, per chiamare a raccolta tutti i messinesi di buona volontà che amano la natura. Un appello al quale continuano a rispondere tantissimi ragazzi e ragazze che fanno parte del movimento spontaneo #cittadinanzattiva”.

Un impegno fondamentale, quello di Vanja, perché plastiche e microplastiche hanno raggiunto livelli di guardia pericolosissimi per la sopravvivenza di moltissime specie marine: “E’ il Mediterraneo a registrare l’accumulo più inquietante di plastiche e rifiuti tossici – spiega l’ambientalista – secondo l’Ipcc, organo dell’Onu, c’è un punto di non ritorno: ed è il 2030. Se tra nove anni non avremo mutato profondamente il nostro modo di stare al mondo (abbandonando l’alimentazione a base di carne, riducendo i consumi e abbandonando i combustibili fossili), i mutamenti climatici diventeranno inarrestabili”.
A mettere a repentaglio la sopravvivenza della biodiversità e degli ecosistemi non è solo la plastica ma anche la pesca di frodo: “Sono i bracconieri del mare, che Sea Shepherd Italia contrasta con le sue azioni di vigilanza, a rappresentare una grave minaccia per le specie marine. L’utilizzo di strumenti illeciti come i fad, stazioni del mare realizzate con mattoni ai quali vengono legati, mediante fili di propilene, taniche di benzina e contenitori usati per il trasporto di materiali tossici, sta contribuendo a decimare migliaia di specie protette e a rischio estinzione. Sulla cima dei fad, poi – spiega Vanja – vengono collocate diverse foglie di palma il cui scopo è quello di creare una zona d’ombra che attragga i pesci pilota, i quali guideranno l’intero banco al riparo di una trappola mortale“.
E così si compie l’inganno: “Una volta che il banco non è più in movimento, i pescatori calano in acqua le ‘spadare‘, si tratta di reti illegali usate anche per la caccia al pescespada, illegale anch’essa – denuncia l’attivista – perché si tratta di una specie a rischio estinzione. La pesca a strascico, è bene ricordarlo, ha effetti devastanti sugli ecosistemi acquatici perché in questo muro della morte, senza alcun rispetto per il ciclo biologico e riproduttivo, finiscono indistintamente specie marine che, invece, andrebbero protette”.

Rispetto della biodiversità e delle leggi che tutelano fauna e ambiente, in un contesto culturale che apra all’antispecismo: “Non è semplice spiegare cosa rappresenti il mare per me – spiega la volontaria – il mare mi ha cresciuta e allevata: solo chi è nato su un’isola può comprendere il profondo legame che ci lega al Grande blu. Se la vita negli oceani dovesse finire, se gli animali marini che lo rendono vivo scomparissero per sempre, per la specie umana non ci sarebbe futuro. Non è fantasia e non è un’astrazione: è quello che rischia di accadere se l’attuale produzione, sversamento e l’accumulo di plastica e derivati non verrà drasticamente ridotto. Tra 50 anni, a causa della nostra incuria e superficialità – denuncia Vanja – il mare rischia di trasformarsi in un’immensa distesa d’acqua senza vita. Un problema che non mi riguarda, penserà qualcuno: beh, quel qualcuno si sbaglia e di molto. Attraverso il consumo di specie ittiche (nei tessuti di un pesce su tre sono state individuate tracce di nanoplastiche), di sale e di acqua imbottigliata in contenitori di plastica, microplatiche e nanoplastiche, frutto quest’ultime dell’ulteriore deterioramento delle prime e quindi infinitamente più piccole, finiscono direttamente nel nostro organismo. Come vedi – chiosa l’attivista – si tratta di una questione che ci riguarda, eccome”.
Una vita dedicata alla natura, un’anima da combattente e uno spirito irrequieto: “Molti mi dicono che per vivere in questo modo devo essere ricca; in realtà ho imparato a liberarmi del superfluo. Mi occorrono poche cose per vivere: cibo vegano, carburante e manutenzione per il van e cure e assistenza veterinaria per i miei cagnetti. Ed è proprio per uno di loro che ho deciso di fermarmi in Sicilia, almeno per un po’. Melì, la più anziana – racconta Vanja – è arrivata all’ultimo tratto di strada della sua vita e ha bisogno del calore e della stabilità di una casa. Prenderò una casetta in affitto, perché il van non ha riscaldamenti e non è certo il posto più adatto per lei in questo momento. Con Melì ho condiviso momenti meravigliosi e importanti. Lei mi ha sempre seguito, ovunque andassi. Adesso tocca a me fare qualcosa per lei”.
E così, impetuso e irrequieto, il vento di scirocco si placa all’improvviso. Torna a casa, a sud- est, in attesa della prossima primavera, quando soffierà di nuovo, incresperà le onde e governerà le maree.
Emma De Maria

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