Il tranello della riforma ambientale e il green pass permanente
Molti non se ne saranno neppure accorti, eppure dallo scorso febbraio ambiente e animali sono entrati di diritto tra i valori protetti e tutelati dalla Costituzione italiana.
Sarebbe stato davvero difficile accorgersene, del resto, considerando che la modifica costituzionale non è stata preceduta da alcun dibattito pubblico, né politico né sociale.
Dall’altra parte, invece, ambientalisti, ecologisti e animalisti, attivamente impegnati nella difesa del territorio e degli ecosistemi, avranno certamente esultato nell’apprendere che, attraverso una modifica aggiuntiva agli articoli 9 e 41, tutela dell’ambiente e degli animali sono stati elevati al rango di principio costituzionale.
Una modifica votata da due terzi del Parlamento, con maggioranza qualificata di 468 voti favorevoli, un solo contrario e sei astenuti, che certifica un ampio accordo tra forze parlamentari che hanno così sbarrato la strada al referendum popolare confermativo; previsto dalla Costituzione qualora si intendano modificare articoli custodi dei principi fondamentali senza maggioranza qualificata.
Passaggio referendario che avrebbe potuto interessare l’articolo 9 del dettato costituzionale, se un orientamento della Corte Costituzionale non avesse ridotto da 12 a 5 agli articoli non soggetti a modifica.
Sino a qui tutto appropriato, condivisibile e auspicabile. Del resto, quanti di fronte alla crisi climatica in atto potrebbero dichiararsi contrari dinnanzi alla necessità di agire concretamente a tutela del pianeta e della biodiversità?
Se proviamo a porci qualche interrogativo e ad esercitare il pensiero critico e indipendente, saldi di una memoria suffragata da scelte politiche non troppo lontane nel tempo, scopriremo che le forze politiche che monoliticamente hanno modificato gli articoli 9 e 41 sono le stesse che finanziano gli allevamenti intensivi (dai quali proviene il 15% di Co2 e gas serra presente nell’atmosfera e le immani crudeltà sugli animali); disattendono la direttiva europea 904/2019, che prevede la riduzione della plastica monouso; sostengono l’utilizzo di combustibili fossili e del nucleare; permettono l’utilizzo di pesticidi in agricoltura, lo sversamento di polveri sottili nell’aria e liquami tossici nelle acque; parteggiano per la caccia e favoriscono il bracconaggio.
Il rischio, a ben guardare, c’è e si vede chiaramente. Le modifiche introdotte all’articolo 9, comma 2, disciplinano “modi e forme di tutela degli animali”; l’articolo 41, comma 2, introduce “controlli affinché l’attività economica pubblica e privata sia indirizzata a fini ambientali” e al comma 1 si stabilisce che “nessuna attività economica e sociale può svolgersi in modo da recare danno alla salute e all’ambiente“.
Questo significa che gli allevamenti verranno chiusi, la produzione di carne bandita, la vivisezione cancellata, la caccia abolita e i piani industriali convertiti? No, signori, la risposta è no.
Significa, allora, che si abbandoneranno i combustibili fossili e le trivellazioni dei fondali marini? Che dall’aria scomparirà il particolato, verrà vietata l’agricoltura intensiva e l’uso dei pesticidi e che saranno smantellate le centrali dell’alta tensione? La risposta è ancora una volta no.
L’ecologismo di cui il governo italiano va cianciando è un ecologismo di facciata. L’energia a impatto zero, al di là delle intenzioni di principio, non è attuabile perché nessun investimento e nessuna seria ricerca sono state adeguatamente finanziate negli anni e perché è più redditizio per gli affari dei potenti di turno riporre schemi energetici insostenibili: petrolio, carbone e nucleare.
La modifica costituzionale, inoltre, stabilisce che “nessuna attività potrà essere svolta laddove questa crei un danno alla salute“: un diritto garantito nella Costituzione dal 1947 e fatto a pezzi da politiche di revisione della spesa (al ribasso), dai tagli lineari a personale ospedaliero e ai posti letto (anche quelli di terapia intensiva), dalla privatizzazione della sanità.
Eccoli i neo paladini dell’ambiente: personaggi che negli ultimi due anni hanno fatto scempio della Costituzione ricorrendo alla decretazione d’urgenza e al voto di fiducia (non previsto dalla Costituzione ma da un regolamento interno alla Camere) attraverso il quale privare dei diritti costituzionalmente garantiti (lavoro, libertà di espressione, libera circolazione sul territorio) coloro che non si sono conformati all’obbligo surrettizio, ricattatorio e coercitivo dell’infinita inoculazione di Stato.
E’ del tutto evidente che una modifica di questo tenore, nelle mani sbagliate, potrebbe reiterare sine die lo stato di emergenza in forme e modalità collaudate a partire dal 2020.
Un green pass costituzionale, permanente, sanitario ed ecologista legato alla classe energetica dell’appartamento del quale si è proprietari, nell’ottica caldeggiata da Mario Monti (quella di disincentivare gli italiani, magari anche grazie alla riforma del catasto, dall’acquisto e dal mantenimento di una casa di proprietà) e alla regolarità delle tasse pagate, Tari in testa (perché con questa si copre il pareggio di bilancio furtivamente introdotto in Costituzione, anche in questo caso, senza referendum popolare).
Il rischio è dunque quello di vedere utilizzata l’emergenza climatica, così come è stato fatto con quella pandemica, per legare l’esercizio dei diritti e delle libertà democratiche alla concessione un lasciapassare governativo a tempo determinato, piuttosto che alla condizione di cittadini.
L’esperimento posto in essere in Italia, con la supina accettazione del modello di controllo e persecuzione sociale, è stato concepito con l’obiettivo di restare, per imporre, nobilitati da interessi superiori, provvedimenti liberticidi che una società democraticamente matura mai accetterebbe.
Noi, però, siamo italiani e pertanto (dicono) geneticamente colpevoli. Una colpa morale che deve essere espiata con “lacrime e sangue” ma, certificata la nostra incapacità di governarci o di scegliere chi ci governa (dicono), tale espiazione deve compiersi attraverso un vincolo esterno (magari imposto dall’Unione europea o dalla Bce).
Narrazione che, sfruttando l’atavico senso di colpa italico, ha legittimato l’imposizione dei “migliori”, dei “tecnici”, degli “elevati”: esecutori materiali della necessaria redenzione dal peccato originale.
Difficile propinare la favola di una crescita felice che spinga e massimizzi i consumi all’infinito quando il pianeta non possiede risorse illimitate per rispondere alle disastrose conseguenze di una visione economica antropocentrica e capitalistica.
L’ambientalismo senza lotta di classe è solo giardinaggio – sosteneva Chico Mendez, sindacalista, politico e ambientalista brasiliano – perché la lotta per l’ambiente non può prescindere dalla modifica del modello capitalista.
Nessuno però ha il coraggio di mettere in discussione gli interessi delle multinazionali e dei potentati della finanza mondiale, perché coloro che avrebbero dovuto porre il benessere dei cittadini al centro hanno svenduto, dietro lauto compenso, sovranità economica, monetaria e politica di una nazione che non più la capacità e il coraggio di dire basta.
Emma De Maria