Happy family Biocycling. In Sud America alla scoperta del biologico
‘Armando puentes y sembrando valores’. E’ un’espressione dalla bellezza semplice, un richiamo che esorta a riscoprire il senso profondo dell’esistenza e del nostro passaggio su questa Terra.
Costruire ponti e seminare valori. Significa piantare un seme di vita, lasciare un’eredità a chi verrà dopo di noi, significa coltivare speranza, tendere una mano al futuro.
Un bisogno e una consapevolezza che hanno spinto Sebastiano Bellet Grava e Alberta Spinazzè a intraprendere, nel 2016, un viaggio nella terra selvaggia e incontaminata del Sud America: in bici dall’estremo sud della Patagonia sino alle repubbliche centroamericane, insieme alle figlie Angela e Anna.
Viaggiatori con il cuore, la coppia di Revine, in provincia di Treviso, aveva già testato il proprio spirito di avventura nel 2013, come racconta al telefono Sebastien (mentre in Italia erano le sedici e a El Salvador, dove si trovano da oltre cinque mesi, sono le otto del mattino): “Qualche anno fa, insieme alle nostre bimbe, abbiamo trascorso un mese nello Stato del SudAfrica, spostandoci in auto e visitando le tribù indigene dell’entroterra. E’ stata un’esperienza bellissima e, per me, anche una grandissima emozione, perché in quella nazione ho trascorso la mia infanzia durante gli anni della lotta all’Apartheid“.
Una prova generale prima della grande spedizione in sud America che da oltre quattro anni ormai vede la ‘Happy family Biocycling‘ (questo è il nome scelto per il progetto bio ed equosolidale) percorre, a bordo di bici pensate ad hoc, la rotta delle coltivazioni biologiche tra Argentina, Cile, Perù, Bolivia, Colombia, Ecuador, Panama, Costa Rica, Nicaragua, Honduras e El Salvador.
Lasciare tutto e mettere in pausa la propria vita per reinventarsi, ad oltre 9mila chilometri da casa. Com’è nato questo progetto?
“Tutto ha avuto origine da un desiderio condiviso: quello di mettere a frutto in modo completamente diverso il nostro tempo – spiegano Sebastien e Alberta – i ritmi di vita occidentali avevano sempre rappresentato una forte limitazione al nostro modo di viaggiare che, per noi, significa innanzitutto entrare in contatto con una comunità di persone, conoscerne il modo di vivere, trasformare la loro quotidianità nella propria. Naturalmente non esisteva un manuale per famiglie su come attraversare in bici la cordigliera delle Ande per poi risalire sino al centro America – ironizzano – bisognava studiare e pianificare. Per un anno intero ci siamo dedicati a studiare il clima, le rotte, il territorio, a progettare mezzi di trasporto adeguati e a programmare le tappe della spedizione”.
Vivere lentamente in una società scandita da ritmi di vita sempre più frenetici. Non deve essere stato semplice mettere in pausa il lavoro e lasciare tutto per un periodo così lungo. Come hanno reagito i vostri familiari?
“In realtà è stato tutto molto casuale e caratterizzato da una serie di coincidenze fortunate – racconta la coppia di esploratori – qualche anno prima Alby (Alberta) aveva lasciato il lavoro per finire l’università e laurearsi in cooperazione sviluppo internazionale e, quasi nello stesso periodo, io ho avuto una promozione sul lavoro. Lo so, nessun’altro al mio posto lo avrebbe fatto, ma ho deciso di barattare questo riconoscimento con un periodo di aspettativa di 20 mesi: perché nella mia vita le priorità sono sempre state altre. Familiari e amici intimi non sono rimasti affatto sorpresi da questa decisione – spiegano – sapevano che entrambi avevamo una visione della vita più alta e volevamo viverla fuori da schemi convenzionali”.
Due anni di preparativi e poi nel 2016 via, alla volta del Sud America. Come si organizza un viaggio così lungo?
“Occorre spirito di adattamento, determinazione, sinergia ma sopratutto lavoro di squadra – chiosa Sebastien – è stata Alberta a scegliere la destinazione, lei ha sempre amato il sud America, e insieme abbiamo pianificato l’itinerario: da Ushuaia, nell’estremo sud nell’arcipelago della Terra del fuoco, sino a Cartaghena, sulla costa caraibica della Colombia e a Bogotà, nella patria delle piantagioni di caffè. Attraverso la Rete mondiale delle coltivazioni biologiche siamo riusciti a creare contatti con le cooperative di cui saremo stati ospiti e con le quali sono iniziati i primi rapporti di collaborazione. Da quel momento è iniziato un vero e proprio passaparola tra le aziende che ci avevano già ospitato e quelle che mostravano interesse ad averci tra loro. Vitto e alloggio in cambio di lavoro, ma senza orari fissi perché abbiamo trasformato le nostre conoscenze culinarie (gli italiani all’estero possono contare su un passaporto di tutto rispetto) in un’opportunità di sostentamento”.
Autoproduzione e scambi culinari: quali specialità tipiche della cucina italiana avete esportato in sud America?
“Piatti semplici – spiega Sebastien, per gli amici Seba – bruschette, caponata di melanzane (piatto tipico siciliano perché la nonna di Alby è di origini trapanesi) e marmellate. Scegliamo personalmente gli ingredienti, tutti provenienti da coltivazioni biologiche – precisa la coppia – acquistiamo vasetti con componenti riciclabili e vendiamo in nostri prodotti con il marchio Happy family Biocycling nei mercati locali. Abbiamo anche sperimentato e creato nuove combinazioni, come ananas e zenzero o ciliegia e caffè: tutto dolcificato con vero zucchero di canna”.
Un progetto ambizioso che si è ampliato sino ad abbracciare le nazioni del centro America. “Sì, ho ottenuto dall’azienda presso la quale lavoro un’ulteriore dilazione di tempo – spiega Seba – e insieme ad Alberta e alle nostre figlie abbiamo deciso di arricchire il percorso, dedicato alla produzione biologica e del commercio equosolidale, con una nuova meta: la California, lo Stato che sta investendo di più in politiche ecosostenibili”.
La pandemia di Covid19, però, ha fermato la spedizione a El Salvador. Dove vi trovavate quando anche in America latina sono scattate le prime misure di confinamento?
“Era il 17 febbraio e stavamo attraversando il confine honduregno con El Salvador, dove avevamo in programma di restare solo qualche settimana – ricorda Sebastian – e invece il destino ha deciso che il piccolo Stato centroamericano sarebbe stata la nostra casa per quasi sei mesi. Uno stop forzato che non ha mai rappresentato un problema: la nostra spedizione, del resto, non ha mai avuto alcuna valenza dimostrativa ma solo di arricchimento personale. Viviamo al meglio il nostro presente – afferma con entusiasmo la coppia trevigiana – mettendo a frutto la nostra fame di esperienza nella cooperativa Los Pinos, della quale siamo ospiti, nella coltivazione di caffè biologico. In futuro ci piacerebbe realizzare un documentario su questa esperienza in America latina”.
Affrontare una spedizione così complessa in bicicletta non deve essere stato semplicissimo: perché questa scelta?
“Anni prima, avevo intrapreso un breve tour in Islanda a bordo della mia bici, anche se in quell’occasione ero da solo – spiega Seba – è stata un’esperienza senza eguali. La bici è un mezzo di trasporto non invasivo; uno dei pochi in grado di farti vivere, sentire e respirare sino in fondo il fascino e la magia di qualunque luogo, anche del più remoto. Affrontare un viaggio come questo con una bici ordinaria, per quanto sportiva, non era il mezzo di trasporto adeguato (Alby era alla sua prima esperienza e volevo che lei e le bambine viaggiassero in sicurezza) in grado di trasportare sia noi sia Angela e Anna, che all’epoca avevano otto e sei anni”.
Bici, voli aerei e attrezzatura adeguata: come siete riusciti ad affrontare queste spese?
“Abbiamo investito in prima persona in questo progetto, mettendo in affitto la nostra casa così da ricavare un piccolo reddito mensile – raccontano Alby e Seba – e poi ci siamo dedicati alla promozione di questa avventura, registrando l’interesse di alcuni sponsor che hanno creduto e investito nel nostro progetto di conoscenza di piccole attività imprenditoriali di agricoltura biologica ed ecosostenibile“.
Da dove nasce questa passione per le coltivazioni biologiche?
“Il biologico è il mio lavoro – spiega Sebastien – ma è anche una passione che condivido con Alby, che invece ha sempre lavorato nel settore dell’equosolidale (siamo consumatori curiosi e responsabili) ed anche è la stessa passione che anima le piccole realtà locali sudamericane, fatte di persone e comunità che sia approcciano alla produzione nel rispetto della natura e della conservazione della biodiversità. Produzione locale e rispetto per il territorio: solo così si può rispettare questo pianeta e vivere in armonia con la natura”.
Undici nazioni, oltre ventiquattro mila chilometri percorsi, di cui 17 mila in bicicletta, insieme a due bambine di sei e otto anni: come hanno vissuto Angela e Anna questa esperienza non convenzionale?
“Angela e Anna sono cresciute tantissimo – raccontano Alby e Seba con un pizzico di orgoglio – hanno imparato tante cose. Hanno vissuto a contatto con la natura, hanno conosciuto le popolazioni indigene dell’Amazzonia, hanno imparato il valore delle piccole cose, hanno acquisito un bagaglio esistenziale ed esperienziale che nessuno dei loro coetanei in Italia potrà mai avere: era questo ciò che io e Alby desideravamo per le nostre figlie. Quando abbiamo lasciato l’Italia, Anna, la più piccola, non sapeva ancora leggere, ma la scuola ha sempre rappresentato un punto fermo di questa spedizione – raccontano i due esploratori – con le istituzioni scolastiche abbiamo condiviso un progetto di educazione parentale, riconosciuto dalla legge, che Alberta ha seguito in prima persona, nella veste di ‘guida’ e nel rispetto di quanto previsto dalla programmazione scolastica. I livelli di apprendimento di entrambe sono oggetto di verifica al termine di ogni anno scolastico da parte di una commissione d’esame composta da insegnati e dirigenti scolastici e sia Angela che Anna hanno raggiunto, con grande soddisfazione della commissione, gli obiettivi previsti in tutte le discipline: oltreché a parlare con eguale padronanza italiano e spagnolo”.
Programmazione scolastica che è stata scandita dai ritmi di una realtà completamente diversa da quella che governa un piccolo centro ai piedi delle Prealpi venete: puoi raccontarci un aneddoto?
“Ricordo che in una delle tante giornate di mercato, in cui Angela e Anna trascorrevano il tempo giocando ‘al negozio di gioielli ‘realizzando collanine e braccialetti, una donna si è avvicinata e ha deciso di acquistare alcune creazioni – racconta Seba – emozionate corrono verso di me, mostrandomi alcune monetine, e mi dicono ‘papà, guarda cosa abbiamo vinto’. Ho sorriso e ho risposto ‘no, non le avete vinte, le avete guadagnate’. Credo che il contatto con i ritmi della terra abbia insegnato ad Angela e Anna la virtù della pazienza e abbia sviluppato in loro la capacità di stupirsi e meravigliarsi di fronte ad ogni piccola scoperta”.
Avete attraversato in bici per ben tredici volte la cordigliera delle Ande, una delle catene montuose più lunghe del mondo, dove il paesaggio è scandito da un susseguirsi di ghiacciai, vulcani, praterie, laghi e deserti. Quale sarà il vostro futuro, quando avrete la possibilità di lasciare El Salvador? Tornerete in Italia o proseguirete il viaggio sino in California?
“Il desiderio di tornare in Italia c’è, almeno per un periodo – spiega Seba – ed è forte, per me e Alberta, anche la voglia di riabbracciare i nonni. Se c’è una cosa che abbiamo imparato è che la vera ricchezza è il tempo; imparare a dargli il giusto valore è un dovere. Volevo cambiare le regole del passato e creare una famiglia felice, Happy family Biocycling nasce da questo, e posso dire di esserci riuscito”.
Emma De Maria