Nello Porcello, ecco cos’è un santuario

Esiste un luogo e un tempo parallelo nel quale la vita scorrere, ai margini del bosco, in pace e in armonia.
La legge che lo governa declina un solo verbo: quello del rispetto.
In questo luogo non esistono schiavi né padroni; qui ogni creatura vive libera, perché qui le differenze tra umani e animali, semplicemente, non esistono.
Ad accompagnarci in questo straordinario viaggio dentro l’empatia è Lisa Marino che, insieme al marito Alessandro, è l’anima del santuario ‘NelloPorcello’. Una struttura di accoglienza nata due anni fa in Lombardia, dove trovano una seconda vita gli animali salvati alla macellazione.

Pochissime persone sanno cos’è un santuario e ancora meno ne hanno mai visitato uno. Lisa, puoi spiegarci di cosa si tratta?
Un santuario è un luogo nel quale non esiste sfruttamento, oppressione o tornaconto personale. Qui gli animali sottratti al processo produttivo dell’industria della carne, del latte e delle uova vivono liberi, per la prima volta nella loro vita lontani da qualunque forma di violenza, sfruttamento, utilizzo o fine: liberi di esistere con noi e non per noi.
Qual è la differenza tra un santuario e una fattoria didattica?
E’ un errore comune quello che porta alcuni a confondere queste realtà – spiega Lisa – a differenza degli animali presenti in una fattoria didattica, quelli ospiti dei santuari non producono alcun tipo di reddito, semplicemente perché sono considerati qualcuno e non qualcosa dalla quale ottenere carne, latte, uova, intrattenimento o terapia. E’ l’approccio ad essere diverso: noi ci rapportiamo agli animali in un’ottica antispecista.
Com’è nata l’idea di dare vita un santuario?
Con Alessandro avevamo già avuto modo di visitare diversi rifugi in Lombardia. A un certo punto ci siamo detti: perché non aprirne uno anche noi? E’ così quattro anni fa – racconta la responsabile del santuario – grazie anche al sostegno di alcuni amici impegnati nella tutela animale abbiamo iniziato questa meravigliosa avventura.
In che modo è cambiata la vostra vita da allora?
E’ stato necessario cambiare casa – ricorda Lisa – ed è stata una ricerca lunga e piena di ostacoli, ma alla fine siamo riusciti a trovare il luogo adatto nel quale mettere radici. Il santuario è composto da una piccola casa con un ampio terreno alle porte di un bosco e, fortunatamente a pochi minuti dai nostri luoghi di lavoro. Viviamo qui da quasi tre anni, ma la nostra vita per molti aspetti è rimasta uguale. Quello che è cambiato è il tempo libero a disposizione, che dedichiamo quasi completamente al santuario.

Quante persone occorrono per gestire una struttura come questa?
Ad occuparci delle attività quotidiane siamo io e Alessandro, ma per i lavori più pesanti e impegnativi possiamo contare sulla squadra di amici dell’associazione “L’arcobaleno di Olivia”: il nome della prima cagnetta ospite del rifugio e che è stata trampolino di lancio per il nostro progetto”.
A proposito di nomi e di significati importanti, perché avete scelto di chiamare questo santuario NelloPorcello?
Abbiamo scelto questo nome in onore di Antonello – spiega Lisa – che noi chiamiamo affettuosamente Nello: il primo animale che abbiamo salvato. Nello è stato riscattato da un allevamento di carne quando era soltanto un cucciolo.
Quanti sono e da dove arrivano gli ospiti del santuario?
In questo momento abbiamo circa una trentina di ospiti tra cani, gatti, pecore, capre, maiali e conigli. I cani arrivano dal canile di zona e i gatti sono trovatelli, mentre maiali, capre, pecore e conigli provengono quasi tutti dagli allevamenti da carne. Il loro destino era segnato: dopo una vita di prigionia, ad attenderli c’era il mattatoio e il banco di un supermercato.
Mi racconti la storia di uno di loro?
Ti racconto quella di Antonello, liberato da un allevamento intensivo a poche settimane di vita. La madre, come tutte le femmine prigioniere di questi luoghi di sfruttamento – racconta la responsabile del centro – viveva chiusa in una gabbia di contenimento, talmente stretta da impedirle qualunque movimento: persino quello di allattare i suoi cuccioli.
Antonello sarebbe stato castrato senza anestesia, per risparmiare sui costi veterinari, la coda sarebbe stati mozzata e i denti strappati via. E’ una pratica crudele e diffusa – spiega Lisa – che gli allevatori praticano per evitare forme di cannibalismo, perché a causa degli spazi angusti nei quali vengono costretti a vivere, i maiali non possono esprimere le proprie naturali caratteristiche fisiologiche e questo provoca un forte stress e comportamenti che in natura non si manifesterebbero mai.
Ricordo il primo giorno di Antonello da noi – prosegue la volontaria – era inverno e ci eravamo appena trasferiti, lo abbiamo tenuto in casa. Una volta cresciuto, all’inizio della primavera, abbiamo iniziato poco alla volta ad abituarlo a vivere all’esterno: è stato emozionante vederlo esplorare il mondo.

Hai sottolineato spesso come ogni animale sia un individuo unico e irripetibile: puoi spiegarci come si manifesta questa unicità?
Innanzitutto nel carattere, Antonello, ad esempio, è un maiale mansueto, simpatico ed estremamente furbo: non gli sfugge niente e risponde ad ogni richiamo. Jenny, invece, è diversa: burbera e brontolona. Segno che stessa specie e vissuto simile non annullano le peculiarità dell’individuo.
Qual è l’emozione più grande nel vivere così a stretto contatto con animali con i quali la stragrande maggioranza delle persone non ha mai avuto contatti diretti?
Conoscere gli animali liberi di essere e di esprimersi è un’esperienza unica, irripetibile e sorprendente – racconta con entusiasmo Lisa – è una delle emozioni più belle di tutta la mia vita. Ci si sceglie, si instaurano legami (anche tra specie differenti), si interagisce. Questa cosa sorprende i visitatori: a riprova che moltissime specie sono destinatarie di pregiudizi infondati.
Come si riscatta un animale da un allevamento intensivo?
Alcuni sono stati liberati dagli attivisti; altri sono stati ceduti gratuitamente da congiunti di allevatori defunti; qualcuno arriva da un sequestro; altri ancora sono stati abbandonati. Uno di loro, in particolare – racconta Lisa – era detenuto per diletto, sino a quando ha smesso di rappresentare una novità ed è diventato di troppo. Moltissime sono le specie considerate erroneamente da reddito, trattate come se fossero automi, incapaci di provare sentimenti.
Quali sono le difficoltà nella gestione di strutture come questa?
Quelle di natura economica, perché i fondi a disposizione finiscono in fretta. Tutti i santuari, grandi o piccoli, hanno bisogno di sostegno – sottolinea Lisa – perché le richieste di accoglienza sono tante e qualche volta, con un nodo alla gola, siamo costretti a dover dire di no.
I santuari non sono attività commerciali, noi non ricaviamo alcun guadagno dalla loro gestione. Viviamo del nostro lavoro e di donazioni- precisa la responsabile di Nello Porcello – se più persone contribuissero, anche con poco, potremo dare una nuova vita a molti più animali.
Accogliere un animale significa tenere conto delle sue necessità: occorre spazio sufficiente e tempo da dedicare loro, un’area per la quarantena per i nuovi arrivi, la garanzia di un’adeguata profilassi medico veterinaria e interventi di castrazione, nel caso di maschi.

Cittadini comuni ai quali spessi di rivolgono le istituzioni, ma qual è il ruolo della sanità pubblica?
I santuari non hanno riconoscimento giuridico, purtroppo. Le questioni burocratiche con l’Asl riguardano sia i nuovi inserimenti che revisione degli spazi; anche trovare veterinari preparati non è semplice quando si tratta di animali che la normativa equipara ad oggetti. Questo significa – spiega Lisa – che mentre la medicina destinata ad animali da affezione (cani e gatti) ha compiuto notevoli progressi, quella che si occupa di suini, caprini e ovini è rimasta ferma. Negli allevamenti gli animali non muoiono di vecchiaia e quindi i medici non sono preparati ad affrontare le problematiche che si presentano nei soggetti anziani, perché non le conoscono.
Quindi la principale difficoltà è quella di trovare veterinari specializzati a fronte di patologie che nessuno ha mai avuto modo di studiare e curare?
Esatto, chi ha mai progettato una protesi per un maiale zoppo di 10 anni, visto che negli allevamenti non superano i due anni di vita? Chi ha mai operato una pecora nata con una malformazione? Potrei fare altre mille esempi come questo. E poi – prosegue Lisa – non sempre alla professionalità si accompagna l’empatia, ma per fortuna siamo riusciti a trovare medici in grado di mettersi in discussione.
Come riuscite a far fronte alle spese di gestione?
Con il nostro lavoro paghiamo mutuo, bollette, assicurazione e finanziamenti per i costi di ristrutturazione. Cibo e spese veterinarie vengono autofinanziati con eventi e donazioni. Ogni due mesi, poi, apriamo le porte del rifugio e organizziamo un aperitivo a offerta libera e così arriva qualche donazione extra. Tre dei nostri ospiti hanno trovato anche una famiglia che li sostiene a distanza.
Raccontami una giornata dentro al santuario?
Serviamo la colazione alle sei del mattino – scherza Lisa – con annesso giro di coccole e grattini. Durante la settimana ci dedichiamo alle pulizie quotidiane e ai piccoli lavoretti di manutenzione. La nostra giornata si conclude alle sei, d’inverno un po’ prima, con la somministrazione della pappa serale.
Nel fine settimana, invece, la sveglia suona alle sette, colazione e via con la pulizia approfondita degli spazi comuni, dei locali dove gli animali dormono e con il lavoretti extra. E poi c’è la spesa, le pulizie di casa, le commissioni e le esigenze familiari.

Tempi stretti e molteplici esigenze. Come siete riusciti a gestire gli animali durante il recente lockdown dovuto alla pandemia?
E’ stato complicato, perché sia io che Alessandro siamo stati fermi sul lavoro per due mesi. Il solo aspetto positivo è che abbiamo potuto impiegare questo tempo per dedicarci di più agli animali, anche se – sottolinea Lisa – abbiamo dovuto sospendere le attività e gli eventi di autofinanziamento, fondamentali per mantenere gli animali.
Quante persone vistano il santuario?
In prevalenza attivisti e persone che hanno abbracciato uno stile di vegano, ma ci sono anche curiosi. Abbiamo ospitato adulti e bambini lontani da questo mondo e che si sono avvicinati grazie sopratutto ad amici comuni che hanno organizzato nel nostro santuario feste di compleanno di beneficenza. Durante questi momenti – precisa la responsabile del santuario – nessun animale è costretto a fare nulla o a subire carezze non richieste: li si osserva mentre si muovono nel loro ambiente. I più socievoli sono Billy, una pecora, Striscia, una capretta, e Antonello, la nostra star sempre in prima fila davanti all’obiettivo. I più timidi, invece, sono Noel, una pecora, e Camilla, una capretta, e poi ci sono i fifoni: la pecora Stella e la capretta Giuseppina.
Quali sono le reazioni di chi si interfaccia per la prima volta con questi animali?
Sorpresa e stupore – esclama Lisa – scoprono che Billy attira la loro attenzione con la zampetta, che i maiali sono intelligentissimi, puliti e profumano di liquirizia e che Cuore, la coniglietta, non è per nulla impaurita.
Sempre più spesso si dibatte della necessità di guardare agli animali come ad esseri senzienti e non come cibo. Veganismo, salute e ambiente sono un trinomio inscindibile: quanto è importante oggi abbracciare un’alimentazione vegetale?
E’ fondamentale per moltissime ragioni. Io sono diventata vegana per rispetto degli animali, ma se vogliamo un futuro per questo pianeta, se vogliamo sconfiggere la fame nel mondo e tutelare le risorse ambientali, le nostre abitudini alimentari devono essere modificate radicalmente. Mi rendo conto, purtroppo, che si tratta di un concetto che continua ad essere osteggiato, nonostante le evidenze dei cambiamenti climatici e dell’attuale pandemia: oggi la disinformazione è una scelta.

Quanto pensi sia necessario in questo senso educare i bambini all’empatia e alla compassione e che ruolo dovrebbe avere la scuola?
E’ fondamentale che i bambini si avvicinino ai santuari – spiega Lisa – da piccoli viviamo il rapporto con gli animali in maniera totalmente paritaria, crescendo la società e la cultura specista manipolano la nostra dimensione naturale e ci cambiano. La scuola potrebbe rappresentare un strumento attraverso il quale proporre un modello educativo basato sulla conoscenza e sul rispetto degli animali per ciò che sono; invece si portano i bambini a visitare fattorie dove si mungono le caprette che fanno latte “per noi”. Eppure – chiosa – l’antispecismo è l’unico antidoto contro ogni forma di violenza e discriminazione.
Hai usato spesso la parola antispecismo: cosa significa?
Significa che non esistono differenze tra specie viventi, che tutte le creature che vivono su questo pianeta hanno eguale dignità e diritto di vivere libere. E’ una contraddizione parlare di femminismo – spiega Lisa – quando consideriamo normale lo sfruttamento di femmine di altre specie per produrre latte del quale priviamo il cucciolo a cui è destinato. Quando fai notare questa cosa ti guardano come se fossi strana o fanatica.
Quando immagini il futuro, qual è il tuo desiderio più grande?
La chiusura dei santuari – sorride Lisa – un sogno grande, perché vorrebbe dire che nessuno animale avrebbe più bisogno di essere protetto. Se invece penso a qualcosa di più immediatamente realizzabile vorrei che si arrivasse al riconoscimento giuridico dei santuari: sarebbe un passo decisivo verso il cambiamento.
Emma De Maria