Deborah Ricciardi, una vita dedicata all’ambiente e alla difesa dell’avifauna

Spiega le tue ali e vola. Non guardare in basso, mai; ascolta sempre le correnti e ricordati: non inseguire il vento. Il cielo, con i suoi mille accenti di blu, è davanti a te ed è solo tuo. Volare è il tuo destino, è ciò per cui sei nato.
Cosa sarebbe il cielo senza il volo degli uccelli? Senza l’armonica danza degli stormi nell’aria? Sarebbe uno spazio vuoto, anonimo, silente e disadorno.
Ogni anno, tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, ha inizio una corsa per la vita che attraversa cieli, mari e continenti: si chiama migrazione.
Migliaia gli esemplari, appartenenti all’avifauna più variegata, intraprendono un volo ancestrale che si tramanda da generazioni: un volo pieno di pericoli e insidie che trovano comune denominatore nelle attività antropiche. Bracconaggio, uccellaggione, falconeria e depauperazione del territorio: sono questi i reati ambientali contro i quali, da anni, si batte l’associazione Mediterranea per la natura, che dal 1990 gestisce, con le sue sole forze, il centro fauna selvatica della città di Messina.

Recupero, riabilitazione, azioni antibracconaggio, lotta alla predazione dei nidi e tutela degli habitat sono interventi che Deborah Riccardi, responsabile dell’associazione e storico esponente della Lipu siciliana, condivide con Anna Giordano, ambientalista e ornitologa, e Fabio Grosso, medico veterinario specializzato in avifauna e selvatici.
Passione, impegno e grande responsabilità che per la presidente di Mediterranea iniziano sin dall’infanzia, quando all’età di cinque anni, con l’aiuto dei genitori, ha svezzato il primo verzellino. A dieci anni arriva l’adesione alla Lipu (Lega italiana protezione uccelli) e due anni dopo, insieme ad Anna Giordano, anche lei meno che adolescente, Deborah dà vita alle prime azioni antibracconaggio.
Cosa spinge una bambina di dieci anni a dedicarsi completamente alla tutela dei selvatici?
“Il senso di giustizia, innanzitutto, il bisogno di rimediare al male compiuto dalla specie umana e il desiderio di alleviare le sofferenze inflitte ad esseri indifesi – spiega la responsabile del centro di recupero, che non ama molto raccontare di sé – l’avifauna e gli animali selvatici sono da sempre vittima di predazione feroce, di molta indifferenza e di nessuna reale tutela. E questo perché, per la maggior parte delle persone, gli uccelli non suscitano empatia, compassione o interesse: sono oggetti ai quali sparare. E’ per questo che ho scelto di occuparmi di loro”.

Vittime di questo comportamento predatorio, molti animali giungono al centro recupero in condizioni disperate. Quali sono le cause principali?
“Ferite da arma da fuoco, soprattutto, ali spezzate, organi interni compromessi, fratture scomposte, lussazioni importanti e molte ustioni: queste ultime causate dai fili dell’alta tensione. Sono moltissimi gli animali che non sopravvivono ai traumi riportati – racconta Deborah – altri, laddove siano stati soccorsi tempestivamente, riescono a superare la fase critica solo dopo complesse operazioni chirurgiche, lunghe convalescenze e periodi di riabilitazione in voliera: quattro o cinque mesi per i più casi meno gravi, diversi anni per quelli più gravi. Non tutti i sopravvissuti, però, potranno tornare a volare: per tanti di loro il cielo rimarrà solo un dolce ricordo”.
La migrazione rappresenta un momento centrale nella vita dell’avifauna ma è anche quello nel quale questi animali rischiano di più: per quale ragione?
“A causa di azioni umane indirette, come gli impianti eolici, e dirette, come il bracconaggio – risponde secca l’esperta di avifauna – i migratori seguono la medesima rotta da millenni, quando lasciano l’Africa e attraversano il deserto per raggiungere i cieli della Sicilia e da qui l’Europa. Un passaggio che i bracconieri conoscono bene e che attendono in prossimità del Canale di Sicilia per dare inizio una strage che ogni anno registra un altissimo numero di animali uccisi. Stiamo parlando di una predazione tra le più codarde e subdole, perché colpisce gli animali nel periodo della riproduzione abbattendo indistintamente esemplari giovani e specie protette, anche con l’ausilio di richiami vivi e acustici vietati dalla legge”.

Una pratica illegale contro la quale, grazie all’introduzione di un’adeguata normativa, è stato possibile raggiungere importanti risultati. Puoi spiegarci perché vengono usati richiami vivi?
“Per attrarre con il loro canto i propri simili. Dopo essere stati catturati dai bracconieri con l’ausilio di trappole, anch’esse illegali, gli uccelli vengono chiusi in gabbia per essere collocati nelle aree di caccia e richiamare altri esemplari a favore di doppietta. Dopo anni di lotta contro questa pratica aberrante – racconta Deborah – è stata finalmente approvata una normativa che ha permesso di rafforzare l’azione di contrasto nei confronti di questo crimine, grazie alla fondamentale collaborazione delle forze dell’ordine. Recentemente, il nucleo forestale dei Carabinieri di Reggio Calabria ha proceduto al sequestro di oltre 1000 cardellini: erano tutti stipati in minuscole gabbie, nascoste in un’intercapedine realizzata all’interno di un furgone, con destinazione a Malta. Alcuni sono morti, 800 sono sopravvissuti e, dopo un periodo di riabilitazione, sono tornati liberi”.
Dall’Africa al canale di Sicilia. Qual è il cammino che, una volta giunti in Sicilia, attende i migratori?
“Rifocillati dalle fatiche di un viaggio estenuante (febbraio, marzo e talvolta aprile sono mesi in cui le condizioni metereologiche possono mutare repentinamente) – spiega la responsabile del centro – i selvatici hanno fretta di raggiungere la propria destinazione: perché scegliere il luogo migliore nel quale nidificare, deporre delle uova e assicurare il giusto nutrimento ai nuovi nati è fondamentale. I migratori devono fare presto: ecco perché il viaggio dal nord Africa al canale di Sicilia non conosce sosta. E’ oltremodo importante che la Sicilia offra habitat idonei all’avifauna, allo scopo di permetterle di proseguire il volo dallo Stretto di Messina ai valichi dell’Appennino”.

Cinquemila chilometri per la sopravvivenza della specie. Quanto è importante la tutela delle aree umide per la biodiversità?
“Laghi, fiumi e zone costiere giocano un ruolo importantissimo nella difesa e nella conservazione della biodiversità e degli ecosistemi. All’interno di questi spazi naturali gli animali sono tutelati dalla legge- spiega l’esperta di fauna selvatica – purtroppo, però, nonostante il riconoscimento legislativo, queste aree continuano a essere violate dai bracconieri e da politiche predatorie del territorio che hanno sacrificato chilometri di area costiera per la realizzazione di percorsi ferroviari che avrebbero potuto essere costruiti in aree più interne. Negli anni le aree costiere sono state ridotte ovunque e questo mette ulteriormente in difficoltà i migratori”.
L’Italia è un paese ricco di biodiversità: qual è la condizione dell’avifauna che vive nel nostro territorio?
“Sia i migratori che gli stanziali che transitano o risiedono nelle diverse aree del territorio italiano sono costretti a misurarsi con l’invadenza e lo scarso rispetto che gli umani mostrano verso la natura e gli altri essere viventi che popolano il pianeta. Il contesto urbano – spiega Deborah – è quello nel quale maggiori sono i pericoli ai quali va incontro l’avifauna costretta a vivere a contatto con gli umani in seguito alla devastazione del proprio habitat naturale. A rischio, a causa della scorretta potatura degli alberi, c’è la nidificazione e la sopravvivenza dei piccoli: la scorretta segatura delle branche, dalle quali si sviluppano i rami, indebolisce gli alberi, ne rallenta la crescita e distrugge i nidi esistenti”.

Habitat naturali, ecosistemi, biodiversità. Quanto è importante per i selvatici vivere nel proprio ambiente naturale?
“Vivere libero e in natura è condizione imprescindibile per il benessere di ogni animale. I selvatici, inoltre, rappresentano un importante serbatoio di patogeni rispetto ai quali, sino a quando vivono nel proprio ambiente, restano immuni – spiega la responsabile del centro recupero – uno scenario che muta profondamente laddove vengono rinchiusi all’interno degli allevamenti o nel caso in cui, inseguito alla distruzione delle foreste, entrino in contatto con le specie domestiche. In questo caso, il rischio che i patogeni presenti nei selvatici possano fare il salto di specie (spill over) diventa sempre più concreto. C’è poi un altro aspetto da chiarire, proprio perché immuni rispetto ai loro patogeni, i selvatici rappresentano un fondamentale cordone di sicurezza per gli umani: finché vivranno nel loro habitat i virus non avranno bisogno di cercare altri organismi nei quali riprodursi”.

Da piccoli l’empatia verso tutti gli animali è un sentimento fortissimo. La società, poi, ci spinge ad abbandonare questa immedesimazione verso gli altri esseri viventi. Un’indifferenza che è più frequente nei confronti degli uccelli, per quale ragione?
“Perché di loro conosciamo poco e le nostre conoscenze sono spesso scorrette. Non sappiamo che gestazione e svezzamento dei piccoli impegnano entrambi i genitori; non sappiamo che molte specie nascono con gli occhi chiusi e il corpo privo di piumaggio; non sappiamo che alcuni dipendono completamente dai genitori per la temperazione e la nutrizione; non sappiamo che i pulcini (polli e anatre) dopo la schiusa dell’uovo sono in grado di beccare come gli adulti. Mancanza di empatia e di informazioni sono la causa di un rapporto distorto con l’avifauna – denuncia la presidente di Mediterranea – deformazione che nella falconeria manifesta l’ennesima aberrazione. Un metodo di caccia utilizzato nel medioevo che prevede l’utilizzo di falchi (sottratti dal nido ancora piccoli, in maniera tale che il falconiere riesca a stabilire con loro un rapporto affettivo) incappucciati, affamati e chiusi in gabbia sino a quando non verranno utilizzati per una battuta di caccia. Pratica ignobile e illegale che mette a rischio la sopravvivenza dei falchi e della biodiversità, movimentando un illecito giro di affari”.
Specie viventi che si estinguono o rischiano l’estinzione e interi ecosistemi al collasso: ha senso oggi continuare a considerare la caccia una pratica legale?
“Assolutamente no, non ha alcun senso. Sono secoli che i soliti continuano a proporre la caccia come soluzione con la quale porre fine alla presenza dei selvatici in aree che, è bene ricordarlo, sono l’ambiente naturale che noi abbiamo invaso – denuncia Deborah – nessuno ha mai avuto l’onestà intellettuale di ammettere che dopo tanti anni di mattanza, penso ai cinghiali ad esempio, il numero degli ungulati non è affatto diminuito. E’ questo per una ragione tanto semplice quanto ovvia: più gli esemplari di una specie si riducono drasticamente e più questa si riproduce per compensare le perdite. La caccia è un’aberrazione, è solo un assassinio protetto dalla legge”.
Il lavoro al centro recupero richiede grande abnegazione, perché fisicamente ed emotivamente impegnativo. Qual è il momento che più ripaga di ogni sforzo e sacrificio?
“La liberazione – risponde d’istinto l’attivista – quando gli animali vengono portati in campagna dai volontari e lì aiutati a riprendere il proprio posto in natura. Vedere un animale ferito o in fin di vita tornare a volare libero nel cielo ripaga di ogni sacrificio o momento di sconforto, perché non facile gestire un centro come il nostro e far comprendere all’altra umanità l’essenziale importanza di ciò che facciamo. Dopo aver spiccato il volo, alcuni di loro tornano indietro, volano sopra le nostre teste o si fermano a guardarci da lontano: è il loro modo di dirci grazie”.
Emma De Maria

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